Santuario di Fornò


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Fornò

Appunti su Fornò

Uscendo da Forlì per portarsi a Forlimpopoli, antica sede vescovile, sulla sinistra della via Emilia si incontra la bella e caratteristica rotonda di Santa Maria in Fornò, iniziata nel 1450 dall'eremita Pietro Bianco da Durazzo, di cui resta il sarcofago; nell'atrio vi sono pitture di scuola umbra e nell'originale interno si può ammirare una splendida edicoletta marmorea di stile donatelliano e una Natività affrescata dal Palmezzano. Un leggiadro porticato rinascimentale è quanto resta del vasto chiostro.

(Estratto dal libro: R. Buscaroli "Forlì, Predappio, Rocca delle Caminate, Fornò, Pieve Quinta, Pieve Acquedotto" - Bergamo - Istituto Arti Grafiche - 1938)

Chi volga al piano e, per la via Emilia, giunto al Ronco, prenda la stradina solitaria che costeggia il fiume e poi, addentrandosi come un nastro bianco nel tappeto verde dei campi, conduce alla chiesa di S. Maria delle Grazie, rimarrà certo sorpreso di trovarsi, tra il vociare di galli e galline, dinnanzi a una costruzione così monumentale
Fornò. Il nome rievoca ai forlivesi un brano di storia e una pagina indimenticabile di poesia.
Pietro Bianco di Durazzo, famoso corsaro dell'Adriatico, venne a Forlì il 1445, pentito e contrito, a iniziare la sua nuova vita, ormai rivolta a fare penitenza, per ispirazione del Signore. E il popolo forlivese gli tende la mano; ben presto ne ammira e ne venera la mistica personalità; sicchè il Bianco, per vivere ancor più meglio con l'intimo suo, dalla cella sulle mura della città, passa ad una capanna fra le selve di Villa Forniolo. Ma neppur qui è salvo dal fastidio dell'ammirazione popolare; e, intercedente una immagine di S. Maria delle Grazie dipinta su una tavoletta trovata appesa ad un tronco d'albero, decide di dar modo al popolo di trasfondere la sua ammirazione nell'ardore del culto religioso.
Un'iscrizione nel fregio esterno della porta ricorda codesto atto di volontà: nel 1450 Pietro Bianco inizia la costruzione della chiesa di S. Maria delle Grazie in Fornò. Alla morte, avvenuta nel 1477, a sessant'anni, si sa tuttavia che ul tempio era finito, ma che già egli stesso aveva dovuto provvedere ad una minaccia di rovina. Ad ovviare a tale pericolo, che pare si faccia più presente negli anni successivi, si provvede radicalmente. Un'altra iscrizione, del 1502, ricorda l'elevamento e il rifacimento del pavimento. Nel 1850 la chiesa e il chiostro annesso sono talmente pericolanti che i frati, non avendo i mezzi per riadattarli, ne incominciano la demolizione. Ciò tocca la sensibilità dei forlivesi ed una terza iscrizione ricorda come, nel 1853, Pio IX, con altri cittadini, provvedesse al generale restauro che, si può dire, abbia dato al monumento l'aspetto che attualmente presenta.
Questa in linee schematiche la storia architettonicamente provata dell'edificio il quale si presenta, nel suo insieme grandioso, a pianta circolare, con un'edicola nel mezzo, concentrica, ad archeggiature, sorreggente un tiburio ottagonale sopraelevato.
Questo tiburio serve di raccordo fra il tetto inferiore e quello superiore, che ricopre la volta. Dinnanzi all'ingresso è un atrio ornato di un arco trionfale e, di fianco, si apre il chiostro, ridotto tuttavia agli archi di due sole fiancate. Un bel cornicione in cotto, esternamente, di gusto lomberdesco, col monogramma di Maria alternato col sole e col monogramma di Cristo, attenua il senso di nudità del muro circolare; e, infine, il campanile privo della cuspide, crollata, domina la mole della chiesa dall'alto, ripetendo la struttura tradizionale già notata in altri campanili forlivesi.
E' rimasta memoria che il tempio era a volta: ora par difficile che il Bianco, ritenuto il primo ideatore (o anche qualsiasi architetto del tempo) avesse saputo costruire una copertura a volta di quelle dimensioni. Si son scoperte tracce di finestre gotiche nell'alto dell'edicola centrale, e di archi, pure a sesto acuto, nel baso. Gotici sono i portali di settentrione e di mezzodì: collocazione non originaria, giacchè fanno una ben strana corrispondenza col portale di ingresso, architravato e ornato classicamente. Sui lati di quest'ultimo, tre esilissime semicolonne richiamano troppo da vicino i tre fascioni che corrono sull'esterno del muro perimetrale, a mezz'altezza, perchè non si debbano supporre dello stesso monumento costruttivo; ma non più dominato da gotico.
Tutto ciò farebbe supporre che due, in realtà, siano state le chiese succedutesi a distanza di tempo: l'una dovuta all'eremita, con elementi gotici (così come mostra l'architettura forlivese del tempo) ristretta a quella che ora è l'edicola, coperta a volta e forse chiusa all'intorno da quattro bracci a croce greca; l'altra, circa dell'epoca del rifacimento del pavimento, formata dal grande muro circolare: epoca cui si deve anche, e qui non può essere dubbio, la costruzione del tiburio ottagonale e del quadriportico del chiostro. Il campanile, della primiera costruzione, come mostrano gli archi della cella, è venuto così a trovarsi in una collocazione singolarissima. Le cappelle invece furono aperte in epoca a noi più vicina, alla quale deve anche risalire una manomissione delle finestre, in origine non rettangolari. Del resto all'interno colpisce subito la sproporzione fra l'altezza della volta dell'edicola e il suo diametro: segno evidente di un rialzamento, avvenuto sulle vecchie basi, come dimostrano le suaccennate tracce degli archi, ma come ripiego reso necessario da una nuova sistemazione generale del tempio.

Ma un arcaismo strano, un gusto insomma che si è ambientato a meraviglia col luogo solitario, sul cui tombale silenzio le giornate, le stagioni, gli anni passano lenti ed uguali, si nota anche nelle opere d'arte. La Madonna col bambino, marmo corposo e squadrato, che è in una nicchia sulla facciata dell'atrio (motivo non certamente gotico) non è l'interpretazione di una mano tarda, coerente ad un gusto vigoroso di elementi quattrocenteschi? Si direbbe quasi che l'ignoto scultore, romagnolo certamente, non abbia fatto che ricalcare ed approfondire qualche particolare di una statua bizantina presa dal sottosuolo!
La stessa rozzezza, nella lunetta con la Natività, di scuola palmezzaniana, ch'era affrescata sulla scala interna, e ora trasportata su tela è in chiesa; sa essa è preso il bel particolare del panorama di Forlì. Dei dipinti dell'atrio ho già fatto cenno attribuendoli a Giovanni del Sega. Un dipinto assai interessante doveva essere La deposizione dalla croce affrescata sul monumento di Pietro Bianco, ma ora appare solo la graffiatura di contorno delle figure che rivela, se non altro, un discreto disegno.
Sulla cassa marmorea dorme l'immagine del corsaro-eremita, supina e serena, nelle fattezze del volto, ossuto ed emanciato per il lungo contenuto sforzo del dominio sulla carne. Codesti lineamenti fini li ritroviamo nell'uomo inginocchiato dinnanzi alla Trinità, nel bassorilievo entro la nicchia a tabernacolo nel muro, quasi di fronte al monumento sepolcrale. Il loro trattamento stilistico si armonizza col senso forbito, ma esile, della forma nell'anatomia del corpo di Gesù sulla croce e del volto del Padre Eterno.
Codesta esilità di proporzioni si spiega anche meglio se messa in relazione con l'ornato e con le stesse proporzioni date all'arco, alle lesene, al timpano del tabernacolo; rievocanti un sentimento che, pur avendo avuto modo di considerare esempi della rinnovata toscana, non ha saputo o potuto spogliarsi della sua educazione lombardesca e del predominio di un gusto veristico; ma di un verismo minuto e senza partecipazione ad alcunchè di mistico e di ideale.

E' per questo che, lungi dal fare il nome di Donatello o della sua scuola, mi sentirei più incline a fare un nome di un artista dell'Italia settentrionale; e poichè l'esecuzione deve ritenersi assai posteriore alla morte del Bianco non escluderei il nome del Fiamberti. Non meno rattenuto è il Quattrocento che ci viene mostrato dall'oranto e dalla struttura del lavabo in sacrestia: dal portale dell'ingresso e da quello in cotto di una porta interna; dalla pila che regge il fonte battesimale con uccelli svolazzanti sorreggenti festoni di cui è come un rialto nella pila dell'acqua santa.

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